Akragas (Ἀκράγας) il Tempio di Zeus Olimpio costruito per celebrare la vittoria sui cartaginesi nella battaglia di Himera nel 480 a.C.
Il Tempio di Zeus di Agrigento fu il più grande tempio dorico dell’Occidente e il terzo della Grecità, dopo l’Artemision di Efeso e il Didymeion di Mileto.
L’edificio costituisce un unicum non soltanto per le proporzioni eccezionali ma poiché presenta soluzioni architettoniche nuove ed originali che divergono dai canoni dell’architettura dorica greca.
Secondo le fonti letterarie (Diodoro Siculo XIII,82 e Polibio IX,27) la sua edificazione iniziò subito dopo la vittoriosa battaglia sui Cartaginesi ad Himera del 480 a.C. ma non fu mai portata a termine. Così come per la realizzazione del sistema degli acquedotti sotterranei “Feaci”, per la costruzione del tempio di Zeus fu impiegata mano d’opera non qualificata costituita da migliaia di prigionieri di guerra cartaginesi.
Le rovine che oggi si presentano dinnanzi i visitatori sono ciò che resta a seguito delle distruzioni provocate non solo dalle vicende storiche antiche e dalle calamità naturale, ma anche dalle devastazioni di epoca recente, tra cui quella verificatasi nel XVIII secolo quando i ruderi del monumento divennero cava di pietra per la costruzione del molo di Porto Empedocle. Del tempio restano oggi visibili l’angolo sud-orientale, due tratti settentrionali della pseudo-peristasi, i piloni del pronao, dell’opistodomo e metà del lato nord della cella. Su alcuni dei blocchi oggi visibili tra le rovine si possono notare i profondi canali per lo scorrimento delle corde destinate al sollevamento.
Il tempio era stato concepito come un colossale edificio collocato su un imponente basamento rettangolare di 56,30 x 112,70 metri su cui si ergeva un crepidoma di cinque gradini. Al posto della consueta peristasi con colonnato aperto vi era una sorta di pseudo-peristasi costituita da un muro di recinzione rafforzato da semicolonne doriche (7 x 14) a cui corrispondevano, nella parte interna, pilastri rettangolari. Internamente il tempio presentava la canonica tripartizione in pronao, cella e opistodomo, delimitati da muri perimetrali scanditi da 12 pilastri quadrangolari maggiormente sporgenti all’interno posti alla distanza di 4 metri. Probabilmente la cella era a cielo aperto mentre era coperto con tegole soltanto il corridoio tra la pseudo-peristasi e i muri della cella. Le semicolonne della pseudo-peristasi avevano un diametro inferiore di ca. 4 metri e non erano composte da normali tamburi bensì da piccoli conci tagliati a cuneo e disposti a ventaglio e il loro interasse era ampio oltre 8 metri; l’altezza ipotetica era di oltre 18 metri e in cima erano sormontate da capitelli con echino ornato di quadruplice collarino e abaco composto da tre enormi lastroni. L’epistilio era formato da tre filari di conci sovrapposti ed era coronato da tenia con mensole a sei gocce di cui rimangono frammenti nel crollo. Elementi del fregio, costituito da metope e triglifi, come pure del geison, sono anch’essi presenti tra le rovine, insieme a frammenti di teste leonine di gronda databili alla fine del V sec. a.C. (alcuni dei quali esposti al Museo Archeologico Regionale di Agrigento) e a frammenti delle sculture verosimilmente pertinenti al frontone (Diodoro XIII,82,1-4 riferisce che vi era raffigurata su un lato una Gigantomachia e sull’altro la Presa di Troia).
A poca distanza della fronte orientale del Tempio di conserva parte del basamento dell’altare monumentale, di forma rettangolare e dimensioni colossali (54,50 x 17,50), sul quale in occasione delle festività religiose si svolgevano i sacrifici cruenti tra cui quello dell’ecatombe durante il quale erano uccisi cento buoi.
Alla luce dell’importanza dell’antica struttura, l’architetto Federico Moncada ha deciso di realizzare una fedele ricostruzione, e dopo sei mesi di lavoro ecco che al tempio viene restituita, seppur in formato digitale, la sua antica bellezza.