EMPEDOCLE DI AKRAGAS
Empedocle (in greco antico: Ἐμπεδοκλῆς, Empedoklês;) è stato un filosofo, medico–taumaturgico e politico siciliano, nato ad Akragas (oggi Agrigento) il 492 (circa) a.C. [1].
Figura misteriosa la sua.
La sua fama leggendaria è giunta a noi attraverso imprecise elaborazioni aneddotiche e cenni autobiografici contenuti nei suoi scritti o attraverso gli storici. Diogene Laerzio ci tramanda che Empedocle fu iniziato al pitagorismo. Ebbe cariche importanti nella vita pubblica e Aristotele ha scritto che la sua vita non andò oltre i 60 anni, e che gli ultimi anni li trascorse in esilio, costrettovi da rivalità politiche.
Vita politica e appartenenza filosofica
Secondo il racconto di Diogene Laerzio, Empedocle nacque da una famiglia antica, nobile e ricca di Agrigento[2].
Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante nell’allontanamento del tiranno Trasideo da Agrigento nel 470, egli partecipò alla vita politica della città negli anni fra il 446 e il 444 a.C., schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al rovesciamento dell’oligarchia formatasi all’indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei “Mille”.
La tradizione gli attribuisce uno spirito caritativo nei confronti dei poveri[3] e severo verso gli aristocratici[4]. Si dice anche che abbia rifiutato il governo della città che gli era stato offerto[5].
Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso, dove forse conobbe Protagora e Erodoto. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia.
«Successivamente Empedocle abolì anche l’assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo nell’undicesimo e nel dodicesimo libro – spesso infatti fa menzione di lui – dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: ‘Salvete: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro’. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Agrigento era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì[6]. »
Secondo il racconto di Diogene Laerzio, si iscrisse alla Scuola pitagorica divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti: secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi all’usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la tradizione[7].
Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di Epicarpo.
Il pensiero
« Empedocle occupa un posto a parte nella storia della filosofia presocratica. Se si prescinde da quella figura poco conosciuta e per qualche verso mitica che è Pitagora, egli appare in effetti il primo autore dell’Antichità a voler riunire contemporaneamente in un solo e medesimo sistema concezioni filosofiche e credenze religiose. [….] nessun pensatore prima di lui aveva inserito all’interno di un quadro filosofico questa corrente di idee mistiche delle quali si troverà più tardi l’eco nelle iscrizioni funerarie dell’Italia meridionale e nei dialoghi di Platone: per Empedocle, infatti, come per gli anonimi autori delle iscrizioni funerarie, l’uomo, essendo di origine divina, non raggiungerà la vera felicità che dopo la morte, quando si riunirà alla compagnia degli dèi. » |
(Denis O’ Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, vol. 2. Torino, Einaudi, 2007, p. 80) |
Di Empedocle conserviamo due opere: Περί Φύσεως (Sulle Origini o Sulla Natura) e Καθαρμοι (Purificazioni); anche se è stata sollevata l’ipotesi[8], priva di sufficiente fondamento, che questi due titoli si riferiscano a una singola opera[9].
Il timore religioso[18] del filosofo di Agrigento appare fin dalle prime righe del Περί Φύσεως:
« o dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente. E a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo: ciò che spetta agli effimeri ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell’amore devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza » |
(Empedocle Poema fisico (Περί Φύσεως) Libro I Proemio (D-K 31 B 3), traduzione di Carlo Gallavotti. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2013, p.9) |
L’opera di Empedocle si presenta come dipendente dalla concezione di Parmenide dell’Essere che “veramente è”[10], ovvero che nulla nasce e nulla muore e l’Essere sempre permane, laddove cerca, tuttavia, di dare conto della presenza dei fenomeni che l’esperienza evidenzia[11].
La soluzione individuata da Empedocle risiede nel fatto che i fenomeni di nascita e morte sono plausibili qualora li intendessimo come un venire e un andare delle cose per mezzo di mescolanza e separazione, cose che comunque sempre “sono”:
(GRC)
« ἄλλο δέ τοι ἐρέω˙ φύσις οὐδενὸς ἔστιν ἁπάντων |
(IT)
« Ma un’altra cosa ti dirò: non vi è nascita |
(Empedocle, D-K 31 B 8, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.I, Milano, Laterza, 2009) |
“Origine”, “nascita”, “morte”, sono dunque “mescolanza” e “separazione” di alcune sostanze che sono eterne e indistruttibili. Empedocle individua quindi in quattro “sostanze”, da lui indicate con il termine di “radici” (ριζώματα), primordiali, non nate (ἀγένητα)[12] ed eternamente uguali (ἠνεκὲς αἰὲν ὁμοῖα)[13], l’origine di (“divengono” γίγνεται) ogni cosa: fuoco (πῦρ), aria (αἰθήρ), terra (γαῖα), acqua (ὕδωρ)[14][15].
Queste “radici” sono indicate dal filosofo come dèi e chiamati col nome di: Zeus (Ζεύς), Era (Ἥρα), Adoneo (Ἀϊδωνεύς)[16] e Nestis (Νῆστις)[17]. In questo modo «I primi principi si empiono così dell’essenza e del soffio vitale di poteri divini.»[18].
Accanto alle quattro “radici”, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, si pongono due ulteriori principi: Φιλότης (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di “legare”, “congiungere”, “avvincere” (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince» [19]), mentre il secondo possiede la qualità di “separare”, “dividere” mediante la “contesa”.
Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ’ ὅ γε πάντοθεν ἶσος〈ἑοῖ〉καὶ πάμπαν ἀπείρων [20]). Egli è Dio e le quattro “radici” le sue “membra”, e quando Odio distrugge lo Sfero:
(GRC)
« πάντα γὰρ ἑξείης πελεμίζετο γυῖα θεοῖο. » |
(IT)
« Tutte, l’una dopo l’altra, fremevano le membra del dio » |
(Empedocle, D-K 31 B 31) |
Infatti sotto l’azione dell’Odio (Νεῖκος), presente alla periferia dello Sfero, le quattro “radici” si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi: prima bisessuate e poi sotto l’azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e femmine, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate; alla fine di questo ciclo, Amore (Φιλότης) riprende l’iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e femmine, poi esseri bisessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro “radici” che li compongono, nello Sfero[21].
Così, nel poema successivo, Καθαρμοι (Purificazioni), gli esseri viventi, parti costitutive, dello Sfero di Amore divengono dèmoni (δαίμων) errando nel cosmo.
(GRC)
« ἔστιν Ἀνάγκης χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν, |
(IT)
« È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi |
(Empedocle, D-K 31 B 115, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009, pp.410-411) |
«L’Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del “demone” decaduto? Con ogni probabilità, è l’Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'”io” dei due ultimi versi è l’autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l’Amore. I “demoni” esiliati “lontano dagli dèi” saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell’Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l’influenza separatrice del suo nemico, la Discordia» |
(Denis O’ Brien, Empedocle in La sapienza greca … p. 90) |
« Quando le parti dell’Amore che sono i “demoni” si riuniscono nell’unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l’influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio » |
(Denis O’ Brien, Empedocle in La sapienza greca … p. 90) |
L’edizione, fondamentale dell’opera di Empedocle la si deve al filologo francese Jean Bollack che nel 1969 tradusse correttamente il titolo come Les Origines. Dei circa duemila versi che componevano l’opera ne conservavamo, fino a qualche decennio fa, solo trecentocinquanta. Nel 1990 il filologo belga Alain Martin avviò lo studio di un papiro conservato presso la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Strasburgo proveniente dall’antica città egiziana di Panopoli (oggi Achmim) databile intorno al I secolo d.C.. La traduzione di questo papiro, che conteneva per l’appunto l’opera di Empedocle, realizzata dallo stesso Martin insieme al filologo tedesco Oliver Primavesi, ci ha consegnato complessivi settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con quelli già posseduti.
(GRC)« ἀλλ’ ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων Σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίηι περιηγέι γαίων. » | (IT)« Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine. » |
(Empedocle, D-K 31 B 28, traduzione di Ilaria Ramelli e Agnelo Tonelli, in I Presocratici a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006-2012, pp. 670-671) |
Aneddoti e leggende
La sua oratoria brillante[22], la sua conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome:
« Scoppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, Empedocle pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese (le acque di) altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessò la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest’opinione di sé e si lanciò nel fuoco[23][24]. »
Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, la guarigione della vecchiaia, e il controllo di vento e pioggia.
I siciliani lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.
Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di attribuire un’identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo; mentre Eraclide Pontico e Diogene Laerzio sostengono che, gettatosi nel cratere dell’Etna[25]…
il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo[26].
In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o, come sembra più probabile, nel Peloponneso[27]. Secondo Aristotele Empedocle morì all’età di 60 anni (ca. 430 a.C.), mentre altri autori affermano che visse fino all’età di 109[28].
Una biografia di Empedocle scritta da Xanto di Lidia, suo contemporaneo, è andata perduta[29].
A Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: Sulla natura (Περὶ Φύσεως, Perì phýseōs, titolo per altro comune a molte opere filosofiche antiche) e Purificazioni (Καθαρμοί, Katharmoí). Della prima, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti di diseguale ampiezza sugli originali 2000 versi, mentre della seconda, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un centinaio rispetto agli originali 3000. La lingua da lui usata è il dialetto ionico.
Ha scritto Ekon Bignone nel suo libro su Empedocle, che nel suo tempo la Sicilia “giovane terra di colonie, fertile, posta al centro del Mediterraneo, aveva bagliori di fasto orientale”. Il fasto delle corti siciliane non ha in Grecia paragone, l’arte rivela qualche tratto egiziano, come i colossali giganti del tempio di Zeus di Agrigento; la crudeltà di certi tiranni siciliani, come Falaride, ricorda il carattere fenicio.
In questo clima storico e questa cultura visse Empedocle. Del quale appunto mi sembra che il segreto dell’uomo, e del profeta, sia stato capito solo da un poeta, appunto Holderlin, che ritrova in Empedocle un principio fondamentale del suo pensiero secondo il quale la natura si rivela soltanto se insieme si nasconde. E’ per questo che la parola e la poesia sono verità, ma sono verità che celano nel loro seno un nascondersi originario, un limite inevitabile, l’impossibilità della rivelazione e della totale comprensione.
Hanno detto di lui…
(LA)« Dicantur ei quos physikoús Graeci nominant eidem poetae, quoniam Empedocles physicus egregium poema fecerit » | (IT)« Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio » |
(Cicerone, De Oratore 1, 217) |
« padre della retorica » |
(Aristotele fr. 1, 9, 65) |
Lucrezio (De rerum natura 727 ss.) lo prende addirittura come modello.
Ernest Renan lo definisce «uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro»[39].
Nel 1861 gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Agrigento, dove studiarono, fra gli altri, Luigi Pirandello e Andrea Camilleri.
Note
- Secondo le discordanti fonti sulla vita di Empedocle «… la cronologia di Empedocle andrebbe fissata tra il 484-1 e il 424-1» (Cfr. Gabriele Giannantoni, I presocratici. Testimonianze e frammenti, Roma-Bari 1986. Vol. I, pp.323-4). Secondo E. Bignone (in Empedocle: studio critico, traduzione e commentario delle testimonianze e dei frammenti, Torino 1916) Empedocle sarebbe vissuto tra il 492 a.C. e il 432 a.C. Anche L. Robin ritiene che «La sua vita…sembra sia scorsa tra il primo decennio del secolo V e il 430 circa» (in Storia del pensiero greco, Torino 1978, p.131). In uno studio recente M. J. Schiefsky ritiene che Empedocle sia nato nel 490 a.C. e morto nel 430 a.C. (in Hippocrates, On ancient Medicine, Leiden-Boston 2005 p.63)
- Diogene Laerzio, VIII. 51
- Diogene Laerzio, VIII. 73
- Timeo, ap. Diogene Laerzio, VIII. 64, comp. 65, 66.
- Aristotele ap. Diogene Laerzio, VIII. 63; cfr. Timeo, ap. Diogene Laerzio, 66, 76
- Diogene Laerzio, VIII, 66, 67.
- Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci editore, 2008, p. 19
- A proporre tale ipotesi fu Catherine Osborne in Empedocles Recycled, The Classical Quarterly 37 (01):24- (1987)
- Alberto Jori, Empedocle in Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 327.
- Aldo Cardin, Empedocle, in Enciclopedia filosofica, vol. 4, Milano, Bompiani, p.3338.
- Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol. I, p. 213.
- D-K 31 B 7.
- D-K 31 B 17
- n corrispondenza con le quattro primarie antitesi del caldo, del freddo, dell’asciutto e dell’umido (cfr. Werner Jaeger, La teologia … p. 214)
- Le quattro “radici” di Empedocle risultano essere poi i quattro “elementi” di Aristotele e Tolomeo.
- Anche Aidoneo (Ἀϊδωνεύς) è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia, 913; o anche inno omerico A Demetra.
- Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda alla nota 55, p. 173 di Carlo Gallavotti in Empedocle, Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori/Lorenzo Valla, 2013.
- Werner Jaeger, La teologia … p. 214.
- D-K 31 B 19
- D-K 31 B 28
- Denis O’Brien, Empedocle pp. 85-86.
- Satiro, ap. Diogene Laerzio, VIII. 78; Timeo, ap. Diogene Laerzio, 67.
- Diogene Laerzio, VIII. 60, 70, 69.
- Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN XXXVI. 27, e altri.
- Diogene Laerzio, VIII. 67, 69, 70, 71; Orazio, ad Pison. 464, ecc.
-
« Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all’Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari fu rilanciato in alto; infatti, egli era solito usare calzari di bronzo. » (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 8.68-69).
- «Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale nel Peloponneso. Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé.» (In Domenico Scinà, Memorie sulla vita e filosofia d’Empedocle gergentino, ed. Lo Bianco, Palermo 1859, p. 55.
- Apollonio, ap. Diogene Laerzio, VIII. 52, comp. 74, 73.
- Wolfgang Haase, 2, Principat ; 36, Philosophie, Wissenschaften, Technik 6, Philosophie(Doxographica [Forts.]), Volume 36, ed. Walter de Gruyter, 1992 p. 4207 nota 111.