LA STORIA DI TURI GIULIANU cantata da Ciccio Busacca

LA “BRUCIANTE PASSIONE” DI CICCIU BUSACCA

Francesco “Cicciu” Busacca,
fotografato dall’etnomusicologo Roberto Leydi


Il cantastorie di Paternò nelle pagine di un articolo de “L’Illustrazione Italiana” del 1959 

“Stavo in mezzo al fango fino alla cintola. 
Vedevo passare ogni giorno dei cantastorie che si spostavano da un paese all’altro per fare il loro spettacolo. 
Io non volevo fare il cantastorie, volevo non fare solo più il cavatore di pozzolana. 
Così decisi di cambiare mestiere, e, in bicicletta, portando con me solo una seggiola, raggiunsi il primo paese dove non mi conoscevano.
Misi la seggiola per terra, e, solo, senza nessuno intorno, incominciai a cantare un fatto di sangue che avevo inventato e imparato a memoria. 
Subito arrivò della gente e alla fine tutti piangevano. 
Da allora incominciai a cantare e sempre veniva della gente. 
Io sono riuscito a fare piangere la madre e la sorella di Giuliano a Montelepre cantando una storia”.

Cicciu Busacca è considerato come il più importante ( di certo, è il più noto ) fra i cantastorie siciliani e fu con queste parole che descrisse gli esordi in strada della sua carriera artistica.
Il suo debutto avvenne nel 1951, nella piazza di San Cataldo (Caltanissetta), con la rappresentazione de L’assassinio di Raddusa, tratto da una storia di cronaca avvenuta realmente nel paese di Raddusa (Catania), dove una ragazza diciassettenne si era vendicata dell’uomo che l’aveva violentata, avvicinandolo nella piazza del paese mascherata da anziana e uccidendolo.

Paternò, in una fotografia
firmata “Bromofoto Milano”
pubblicata nel 1960
dal volume “Sicilia” del TCI

Il ricordo autobiografico dell’ex cavatore di pozzolana, nato a Paternò nel 1925 e morto nel 1989 a Busto Arsizio, venne pubblicato nell’opera “Coste d’Italia – Sicilia”, edita nel 1968 dall’Eni.
Luigi Lombardi Satriani e Annabella Rossi – che firmarono il capitolo etnologico del testo – scrivevano:

“I cantastorie ebbero nel passato una funzione di informazione, di trasmissione di notizie mediante tecniche, volte anche, a suscitare emozioni negli ascoltatori. 
Oggi, caduta la prima funzione, informativa, è rimasta solamente la seconda.
Ed è su questa che si basa il mestiere di Cicciu Busacca, cantastorie di Paternò, famoso tra le classi popolari siciliane e tra gli intellettuali del Nord per avere inserito nel suo repertorio non solo la morte di Kennedy, Papa Giovanni ed il terremoto del Belice, ma anche pezzi scritti da intellettuali”.

Già da anni, in verità, la notorietà di Cicciu Busacca aveva superato i confini della Sicilia grazie all’esibizione in piazze e teatri di tutta Italia.
La sua fama, sia pure limitata ad un pubblico di festival e spettacoli teatrali, andava ben oltre i confini degli ambienti ‘intellettuali’ descritti dai due etnologi.

Lontano dall’isola – ad esempio a Torino, nel 1965, in occasione del Folk Festival – Busacca aveva cantato la “Vita di Turiddu Carnivali” e “Lu trenu di lu soli” di Ignazio Buttitta, opere cardine nella sua vita di cantastorie.
Finiti i tempi degli spostamenti in bicicletta – poi sostituita in Sicilia da una Seicento Multipla – il cantastorie catanese aveva vinto nel 1958 a Gonzaga il premio “Trovatore d’Italia”.
Fu probabilmente anche grazie a quel riconoscimento che nel febbraio del 1959 la rivista “L’Illustrazione Italiana” gli dedicò parte di un articolo intitolato “Gli ultimi cantastorie”, a firma dell’etnomusicologo Roberto Leydi.
Nel reportage – accompagnato dalla fotografia di Cicciu Busacca riproposta da ReportageSicilia – Leydi scriveva fra l’altro:“Busacca è giovane, violento, animato da quel sacro fuoco diabolico che Garcia Lorca definisce ‘duende’ e dice proprio dei grandi cuori di Spagna.
Rappresentante perfetto del Mediterraneo, Busacca anima il suo gesto e la sua voce di una passione bruciante, più forte di ogni regola e d’ogni legge.
Il suo repertorio di cantastorie è assai vasto ma poggia su alcuni testi ormai ‘classici’ che costituiscono il fondamento della sua fama.
La storia di Giuliano, ad esempio, composta di oltre venti episodi e lunga, nella sua versione completa di canto e spiegazioni, quasi sei ore, oppure quella di Michele Terranova, o quella di Turi Firranti, o ancora quella indimenticabile di Salvatore Carnevale.
Legato alle vicende della cronaca, il cantastorie adegua i suoi testi ai fatti sempre nuovi di criminalità.
E’ inevitabile che in questa misura non possa mancare l’accenno diretto ai delitti della mafia, alla dura storia della lotta politica.
E’ appunto il caso di questa stupenda ballata che, scritta da Ignazio Buttitta, costituisce uno dei ‘numeri’ più fortunati ed efficaci di Ciccio Busacca. Col volto chiuso nel segno di un austero dolore, Busacca annuncia la storia di Turiddu Carnivali, il ‘picciotto’ che morì a Sciara ammazzato dalla mafia. 
‘Per Turiddu Carnivali’, dice Busacca, ‘piange sua madre e piangono tutti i poveretti della Sicilia, perché Turiddu morì ammazzato per il pane dei poveretti’.
Poi comincia a cantare:Ancilu era e nun avia l’ali,
santu nun era e miraculi facia,
ncelu acchianava senza cordi e scala
e senza appidamenti nni scinnia,
era l’amuri lu sò capitali
e sta ricchezza a tutti la spartia.
Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu muriu ammazzatu…Angelo era e non aveva le ali,
santo non era e faceva cose straordinarie,
saliva al cielo senza corde e scala
e senza ostacoli ne scendeva,
era l’amore il suo tesoro 
e questa ricchezza la divideva con tutti.
Salvatore Carnevale faceva di nome    
e come Cristo morì ammazzato…

Chitarra catanese
prodotta negli anni Sessanta dello scorso secolo.
La fotografia è di Arno Hammacher
ed è tratta dall’opera
“Repertorio dell’artigianato siciliano”
edita nel 1966 da Salvatore Sciascia 

Nei versi della ‘Morti di Turiddu Carnivali’ passano tutti i fatti e tutti i sentimenti della lotta politica siciliana.
Ecco l’occupazione delle terre ‘sutta la russìa di li banneri’, ecco l’intervento dei carabinieri, ecco le intimidazioni della mafia, ecco infine il delitto a tradimento, all’alba, in aperta campagna…

Sidici maju l’arba ncelu luci
e lu casteddu aautu di Sciara
taliava lu mari chi stralluci
comu n’artaru supra di na vara;
tra stu mari e casteddu na gran cruci
si vitti dda matina all’aria chiara,
sutta dda cruci un mortu, e cu l’aceddi
lu chiantu ruttu di li puvireddi

Il sedici maggio, la luce dell’alba nel cielo
e l’alto castello di Sciara
guardava il mare pieno di luci
come un’altare sopra una vara ( carro trionfale );
tra questo mare ed il castello una grande croce
si vide quella mattina nell’aria chiara,
sotto quella croce un morto, e con quello degli uccelli
il pianto disperato dei poveri
  

Sei anni dopo il reportage dedicatogli da “L’Illustrazione Italiana”, Cicciu Busacca avrebbe vinto il Festival dei Cantastorie a Siracusa.

Curiosamente, proprio la Procura di questa città gli aveva riservato nel 1962 anche una sorprendente denuncia per avere diffuso particolari sulla morte di Salvatore Giuliano “tali da potere turbare il comune sentimento della morale e di potere provocare il diffondersi di delitti”. 
In quegli anni, Busacca non rinunciò alla militanza politica, partecipando ad alcuni festival dell’Unità e prendendo parte a manifestazioni sindacali, occupazioni di terre e marce per la pace.
Nel 1970, il cantastorie di Paternò accettò l’invito della cantante toscana folk Daisy Lumini ad esibirsi con Rosa Balistreri nello spettacolo “Sicilia amara”.
Il tour toccò anche il teatro La Ringhiera a Roma, e sembra che in quel periodo fosse solito cantare che “la mafia e la Sicilia sono due cose, una puzza, l’altra profuma”.
Quindi Cicciu Busacca venne in contatto a Milano da Dario Fo, entrando presto a far parte del Collettivo della Comune Teatrale.
Il nome di Busacca comparve così sulle locandine de “La Giullarata”, di “Ci ragiono e ci canto numero 3” e di “Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu”.
L’esperienza con Fo coinvolse anche le figlie Pina e Concetta, regalando all’ex cavatore di pozzolana anche un certo benessere economico.

Locandine di spettacoli di Cicciu Busacca
con il Collettivo della Comune Teatrale di Dario Fo.
Il materiale è tratto da
http://www.archivio.francarame.it/francaedario2.aspx 

Le sue esibizioni teatrali furono tuttavia il segno che l’epoca del cantastorie di strada era finita per sempre, messo in disparte nei gusti del pubblico dalla televisione e dal cinema.
Con amarezza, Cicciu Busacca smise di esibirsi ed il suo trasferimento in Lombardia, pur non distaccandolo del tutto da Paternò, fu quasi il segno del distacco da un’attività artistica tramontata per sempre.

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THE STORY OF TURI GIULIANU sung by Ciccio Busacca

THE “BRUCIANTE PASSIONE” BY CICCIU BUSACCA

 

The storyteller of Paternò in the pages of an article from “The Italian Illustration” of 1959

“I stood in the mud up to my waist. I saw every day the storytellers who moved from one country to another to do their show. I didn’t want to be a storyteller, I just didn’t want to be pozzolan’s quarryman anymore. So I decided to change jobs, and, by bicycle, taking only one chair with me, I reached the first town where they didn’t know me. I put the chair on the floor, and, alone, with no one around, I began to sing a thing of blood that I had invented and memorized. People arrived right away and in the end everyone was crying. Since then I began to sing and people always came. I managed to make Giuliano’s mother and sister cry in Montelepre singing a story. “

Cicciu Busacca is considered as the most important (certainly the most famous) among Sicilian storytellers and it was with these words that he described the beginnings of his artistic career.

His debut took place in 1951, in the square of San Cataldo (Caltanissetta), with the representation of The Assassination of Raddusa, taken from a chronicle story that actually took place in the town of Raddusa (Catania), where a seventeen-year-old girl had avenged herself on man who had raped her, approaching him in the town square masquerading as an old woman and killing him.

The autobiographical memory of the former pozzolan quarryman, born in Paternò in 1925 and died in Busto Arsizio in 1989, was published in the work “Coste d’Italia – Sicilia”, published in 1968 by Eni. Luigi Lombardi Satriani and Annabella Rossi – who signed the ethnological chapter of the text – wrote:

“The storytellers had a function of information in the past, of transmission of news through techniques, sometimes also, to arouse emotions in the listeners. Today, the first information function has fallen, only the second one has remained. And it is on this that the profession of Cicciu Busacca, storyteller of Paternò, is based, famous among the Sicilian popular classes and among the intellectuals of the North for having included in his repertoire not only the death of Kennedy, Pope John and the Belice earthquake, but also pieces written by intellectuals ”.

For years, indeed, the fame of Cicciu Busacca had crossed the borders of Sicily thanks to the exhibition in squares and theaters throughout Italy. His fame, albeit limited to an audience of festivals and theatrical performances, went far beyond the boundaries of the “intellectual” environments described by the two ethnologists.

Far from the island – for example in Turin, in 1965, on the occasion of the Folk Festival – Busacca had sung the “Life of Turiddu Carnivali” and “Lu trenu di lu soli” by Ignazio Buttitta, key works in his life as a storyteller.

Once the times of cycling trips were over – then replaced in Sicily by a Multiple Seicento – the storyteller from Catania had won the “Trovatore d ‘Italia” prize in Gonzaga in 1958. It was probably also thanks to that recognition that in February 1959 the magazine “L ‘Illustrazione Italiana” dedicated part of an article to him entitled “The last storytellers”, signed by the ethnomusicologist Roberto Leydi.

In the report – accompanied by a photograph by Cicciu Busacca re-proposed by ReportageSicilia – Leydi wrote, among other things: “Busacca is young, violent, animated by that sacred diabolical fire that Garcia Lorca defines as” duende “and says precisely the great hearts of Spain.

Perfect representative of the Mediterranean, Busacca animates his gesture and his voice of a burning passion, stronger than any rule and every law. His repertoire of storytellers is very vast but rests on some now “classic” texts which form the basis of his fame.

The story of Giuliano, for example, composed of over twenty episodes and long, in his complete version of song and explanations, almost six hours, or that of Michele Terranova, or that of Turi Firranti, or even the unforgettable one of Salvatore Carnevale.

Linked to the events of the news, the storyteller adapts its texts to the ever new facts of crime. It is inevitable that in this measure the direct reference to the crimes of the mafia, to the harsh history of the political struggle, cannot be omitted.

It is precisely the case of this stupendous ballad which, written by Ignazio Buttitta, constitutes one of the most fortunate and effective “numbers” of Ciccio Busacca. With his face closed in the sign of an austere pain, Busacca announces the story of Turiddu Carnivali, the ‘picciotto’ who died in Sciara killed by the mafia. “By Turiddu Carnivali,” says Busacca, “he mourns his mother and mourns all the poor people of Sicily, because Turiddu died killing for the poor people’s bread.”

Then he begins to sing:

Ancilu era e nun avia l’ali,
santu nun era e miraculi facia,
ncelu acchianava senza cordi e scala
e senza appidamenti nni scinnia,
era l’amuri lu sò capitali
e sta ricchezza a tutti la spartia.
Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu muriu ammazzatu…Angelo era e non aveva le ali,
santo non era e faceva cose straordinarie,
saliva al cielo senza corde e scala
e senza ostacoli ne scendeva,
era l’amore il suo tesoro 
e questa ricchezza la divideva con tutti.
Salvatore Carnevale faceva di nome    
e come Cristo morì ammazzato…

In the verses of the ‘Dead of Turiddu Carnivali’ all the facts and feelings of the Sicilian political struggle pass.

Here is the occupation of the lands ‘sutta la russìa di li banneri’, here is the intervention of the carabinieri, here are the intimidation of the mafia, here is finally the crime of treason, at dawn, in the open countryside …

Sidici maju l’arba ncelu luci
e lu casteddu aautu di Sciara
taliava lu mari chi stralluci
comu n’artaru supra di na vara;
tra stu mari e casteddu na gran cruci
si vitti dda matina all’aria chiara,
sutta dda cruci un mortu, e cu l’aceddi
lu chiantu ruttu di li puvireddi…

Sixteen May, the light of dawn in the sky and the high castle of Sciara he looked at the sea full of lights like an altar on a vara (triumphal chariot); between this sea and the castle a large cross he saw himself that morning in the clear air, under that cross a dead man, and with that of the birds the desperate cry of the poor…

Six years after the report dedicated to him by “The Italian Illustration”, Cicciu Busacca would have won the Festival of Storytellers in Syracuse.

Curiously, in 1962 the Public Prosecutor’s Office had also reserved a surprising denunciation for having published details on the death of Salvatore Giuliano such as to be able to disturb the common sentiment of morality and to be able to cause the spread of crimes.

In those years, Busacca did not renounce political militancy, participating in some Unity festivals and taking part in trade union demonstrations, land occupations and peace marches. In 1970, the storyteller of Paternò accepted the invitation of the Tuscan folk singer Daisy Lumini to perform with Rosa Balistreri in the show “Sicilia amara“.

The tour also touched the La Ringhiera theater in Rome, and it seems that at that time he used to sing that “the mafia and Sicily are two things, one stinks, the other smells”.

Then Cicciu Busacca came into contact in Milan with Dario Fo, soon joining the collective of the theatrical community.

The name of Busacca thus appeared on the posters of “La Giullarata”, of “Ci ragiono and ci canto number 3” and of “Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu”. The experience with Fo also involved the daughters Pina and Concetta, giving the former pozzolan quarryman a certain economic well-being.

His theatrical performances were however the sign that the era of street storytellers had ended forever, sidelined in the tastes of the public by television and cinema. With bitterness, Cicciu Busacca stopped performing and his move to Lombardy, although not completely detaching him from Paternò, was almost the sign of detachment from an artistic activity that had faded away forever.

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