Da chi fu inventato il bikini?
Ufficialmente il bikini moderno è stato ideato dal sarto francese Louis Rèard nel 1946. Il nome del fortunato costume richiama l’atollo di Bikini nelle isole Marshall.
C’è però chi sostiene che in qualche modo il sarto parigino abbia scopiazzato un modello che si trovava in Sicilia. Può essere considerata vera la tesi del plagio?
Per indagare occorre andare in Sicilia, a Piazza Armerina, in provincia di Enna. Bisogna visitare la villa del Casale, una struttura tardo-romana che dal 1997 fa parte del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Conserva 3500 metri quadrati di mosaici e molti ambienti con preziosi affreschi. Nella stanza dedicata alle “Dieci ragazze” si trova un mosaico che risale al III secolo d.C. Vi sono raffigurate delle atlete impegnate in attività ginniche che indossano, appunto, i bikini. Naturalmente bisogna considerare che il costume a due pezzi non veniva certamente utilizzato in spiaggia per prendere il sole, ma era una divisa per praticare l’atletica, frequentare le palestre di ginnastica e di danza.
A chi apparteneva questa lussuosa villa romana? Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi che fosse di proprietà di un console o comunque di una personalità altolocata della gerarchia dell’Impero romano. Altri sostengono che fosse addirittura una residenza dell’imperatore Massimiano.
Per secoli la villa, passando da un proprietario all’altro, è stata un punto di riferimento per tutta la regione. Vi si amministrava anche la giustizia e la gente veniva a chiedere udienza. I mosaici sono di una ricchezza straordinaria, sotto il profilo sia artistico che storico. Rappresentano, infatti , scene di caccia, moda, sport, vicende di vita quotidiana non certo di persone comuni, ma dell’aristocrazia dell’epoca. E’ il più vasto complesso musivo tramandatoci dal mondo romano. E’ un luogo dove si può ammirare l’attività giornaliera dei nobili.
Sono edifici costruiti su livelli diversi, il tutto immerso in un paradiso naturale, che profumava delle essenze di piante aromatiche ed era adornato dalla presenza di una ricca fauna. La villa era in parte orientata al sole e in parte all’ombra, di modo che si potessero scegliere gli ambienti a secondo delle stagioni. Nel suo interno sono raffigurati vari momenti della vita dell’epoca, come l’arrivo del proprietario alle terme con la famiglia e un’ancella. Ci sono poi mosaici che raffigurano il Circo Massimo nel IV secolo d.C. Si può notare una concitata corsa di quadrighe e l’obelisco dell’imperatore Augusto collocato a piazza del Popolo a Roma. Entrando nella sala si ha la stessa visuale che aveva l’imperatore nel prendere posto al Circo Massimo.
E’ presente anche una scena omerica, con Ulisse che sta dando da bere del vino all’ingenuo Polifemo prima di accecarlo. La cosa strana è che il gigante non ha un occhio, ma tre. Per quale motivo? Probabilmente si tratta di un effetto scenico allo scopo di rendere più mostruoso il gigante.
La villa è rimasta intatta per circa mille anni, dall’epoca romana al Medioevo, fino ad arrivare al 1160, quando venne sepolta da tonnellate di detriti a seguito di un’alluvione durata diversi giorni.
I primi scavi all’interno della lussuosa residenza romana furono eseguiti nel 1881. Una sistematica campagna di scavi fu avviata dal 1935 fino al 1939. Solo negli anni Cinquanta fu portato alla luce l’intero complesso, grazie anche a un corposo intervento della Regione Siciliana, con sistematici scavi diretti dall’archeologo Vinicio Gentili.
Nel luglio del 2012, dopo un lungo restauro avviato nel 2004, la villa è stata riaperta al pubblico. Sono state riassemblate centoventimila tessere per ricomporre gli splenditi mosaici. E’ stata rimossa la copertura in plexiglas degli anni Sessanta, che creava un nocivo effetto serra, ed è stata sostituita da una struttura in legno con pannelli di vetro riciclato. Il percorso di visita si compone oggi di moderne passerelle aeree.
Le dieci ragazze in bikini si dedicano con disinvoltura al lancio del disco, alla corsa, ai salti. Sono state loro a dare l’idea allo stilista francese nel 1946?
Il bikini, dopo una censura durata lunghi anni, venne lanciato su scala mondiale nel 1958 da Brigitte Bardot nel film E Dio creò la donna. Ma le donne siciliane d’epoca romana lo avevano indossato secoli prima.