SICILIA TRA STORIA E MITO: “Scilla e Cariddi

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Quando ho conosciuto questa storia nei suoi particolari feroci, ho capito perché, tanto spesso, mi era capitato di vedere coppie di cani da guardia chiamati proprio Scilla (Colei che dilania) e Cariddi (Colei che risucchia).

 

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E ho capito perché in Sicilia si usa spesso una frase per indicare la sospensione e l’indecisione nello stabilire qual è il male minore, una frase che suona così: Ma ‘u sai comu iera? Fra Scidda e Cariddi.

Ora, Scilla non è sempre stata la “mostruosa” Scilla, anzi. Nacque ninfa di rara bellezza, figlia di Crateide che viveva sulla magnifica spiaggia di Zancle (l’odierna Messina). Il suo destino nefasto è figlio di traffici, invidie, ripicche e gelosie, in particolare frutto di difetti da addebitare al femminino. Ma procediamo per ordine.

Glauco (1)
Glauco e Scilla

Tutto comincia quando il dio Glauco, metà uomo e metà pesce, la vede e si innamora a prima vista di lei. Il corpo di Glauco però non piace particolarmente a Scilla, che lo rifiuta. Il dio è costretto a ricorrere alle arti degli incantesimi, perché è disposto a tutto pur di averla, ma si rivolge alla persona sbagliata, la maga Circe.

Circe
Circe

La maga, che è innamorata di lui, si sente infatti doppiamente scartata,  e monta su tutte le furie: come fa a chiedere proprio a lei pozioni segrete per avere l’amore di un’altra donna? Così Circe decide di vendicarsi, ma non sceglie Glauco come bersaglio, bensì Scilla. E qui entra in gioco uno spinoso difetto femminile, la mancanza di solidarietà: perché fare fuori l’avversaria quando è l’uomo a essere insensibile? Non avrà ciascuno il diritto di innamorarsi di chi gli pare?  Ma la maga Circe se ne frega della logica stringente (per fortuna, direi, altrimenti questo leggenda non sarebbe mai nata), e versa nell’acqua dove Scilla usa bagnarsi un filtro a base di erbe magiche, che la trasforma in una specie di mostro, con sei teste di cani dai lunghi colli che si muovono come tentacoli, affamati e pronti a dilaniare tutto quello che capiti loro a tiro.

Scilla raffigurata su un cratere greco conservato al Louvre
Scilla raffigurata su un cratere greco conservato al Louvre

Terrorizzata da se stessa, Scilla corre a nascondersi dentro un antro e da lì anche lei ordisce una vendetta contro la maga, sempre per via indiretta, prima privando Ulisse dei suoi uomini, quando questi si accingevano ad attraversare lo stretto, e ingoiando anche, in seguito, le navi di Enea.

Scilla e Cariddi
Scilla e Cariddi

Anche Cariddi nasce ninfa (ma Cariddi è anche il cognome di Tano, il cattivo de La Piovra, aggiungo per inciso!), figlia di Poseidone e di Gea, ovvero del mare e della terra, ed è contraddistinta da una grande voracità. La metamorfosi in mostro è la punizione per aver rubato dei buoi a Eracle che attraversava lo stretto con l’armento di Gerione. E’ Zeus stesso che la scaraventa in mare colpendola con un fulmine: la sua voracità si muta nella capacità di ingoiare grandi quantità d’acqua per poi ributtarla in mare formando vortici e mulinelli, una vera maledizione per le navi.

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Il mito delle due “sentinelle dello stretto”, divenute il terrore dei naviganti, l’una a causa dell’invidia e della vendetta da parte di una donna, l’altra a causa della propria ingordigia, fu raccontato forse per la prima volta da Omero.

“L’altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo, vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia. Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie; e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe”. (Odissea di Omero, Libro XII, 101-104)

Cariddi viene nominata anche nell’Eneide di Virgilio. Le due “mostresse”, secondo la leggenda, si trovano una di fronte all’altra, tra Sicilia e Calabria,  e rappresentano, nell’immaginario, i pericoli del mare. Sembrano messe lì a presidiare la punta estrema dell’isola, quella che lega e slega noi siciliani al resto della penisola. Una specie di punto di non ritorno.

 

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