« …ταῖσι Μήδειοι κάμον ἀγκυλότοξοι,
πὰρ δὲ τὰν εὔυδρον ἀκτάν
Ἱμέρα παίδεσσιν ὕμνον Δειομένεος τελέσαις,
τὸν ἐδέξαντ’ ἀμφ’ ἀρετᾷ,
πολεμίων ἀνδρῶν καμόντων. »
« …[a Platea] dove penarono i Medi dagli archi ricurvi,
e presso la riva dell’Imera
dalle limpide acque dirò l’inno
compiuto per i figli di Dinòmene,
tributo alla loro virtù
per cui penarono i nemici. »
(Pindaro, Pitica I, vv. 151-156)
La battaglia di Imera o anche Himera vide contrapposte le truppe dei Sicelioti, comandati da Gelone di Siracusa accorso in aiuto di Terone di Akragas, contro quelle dei Cartaginesi, comandati da Amilcare I. Secondo Erodoto[2] e Aristotele[3] essa si disputò nel medesimo giorno della battaglia di Salamina (settembre 480 a.C.), mentre, per Diodoro Siculo,[4] essa ebbe invece luogo in piena estate, nello stesso giorno in cui le forze persiane riuscirono a trionfare su quelle greche nella battaglia delle Termopili (luglio-settembre 480 a.C.)
Antefatti
In tale anno i Greci della madrepatria come i Sicelioti si trovarono nel mezzo di un’invasione. In particolare gli abitanti della Sicilia dovettero fronteggiare l’avanzata dei cartaginesi, guidati da Amilcare I, che si pensava avessero stipulato un accordo con i Persiani per passare all’azione in simbiosi e scacciare insieme il mondo greco.[5][6] Benché l’accordo tra Persiani e Cartaginesi risultasse vero a Erodoto e Diodoro, Aristotele nega ogni intenzionalità nel compimento delle due battaglie, implicitamente rifiutando la possibilità che Cartaginesi e Persiani si fossero effettivamente alleati.[3] I Cartaginesi, in ogni caso, arruolarono probabilmente non più di 30.000 uomini e li spedirono in Sicilia in direzione del porto di Panormo[7][8] e al seguito del loro sufeta, Amilcare, penetrarono con i mercenari provenienti da tutti i domini di Cartagine: chi dalla Fenicia, dalla Libia, dall’Iberia o dalla Liguria chi, invece, dalla Sardegna[1][8]. Terone di Agrigento, in previsione della conquista di Imera da parte dei Cartaginesi, stanziò preventivamente un presidio che, nonostante il coraggio infuso in ogni tentativo di difesa, fu massacrato da Amilcare e i suoi.[5]
Terone non riuscì a contrastare l’impeto dei barbari e, per porre un freno a questa avanzata, chiese aiuto a Gelone di Siracusa che accorse subitaneamente con 50.000 uomini, stando a Diodoro;[9] anche se, con ogni probabilità, la cifra andrebbe ridimensionata a 25.000 uomini.
La richiesta di aiuto al tiranno di Siracusa, Gelone, non fu casuale: infatti egli stesso dimostrò «come fosse bellissimo vedere una città governata da uno solo».[10] In quel momento la città poteva definirsi florida, nel pieno momento della sua ricchezza e prosperità, testimone di questo fatto è Erodoto che afferma che Gelone offrì ai Greci duecento triremi e ventimila uomini, pretendendo, però, di essere il comandante della resistenza greca contro Serse. Gli ambasciatori spartani non intendevano cedere il comando dell’esercito, perciò rifiutarono la proposta temendo che Gelone, uomo già potente in Sicilia dal punto di vista politico e militare, potesse sottomettere anche la Grecia al suo volere.[11]
La posizione di Imera
La colonia greca di Imera sorge in una posizione solitaria vicina alla zona elima della Sicilia e, durante gran parte della sua storia, fu sempre in contatto con il mondo punico dell’ovest. La parte nord della città si protende verso il mar Tirreno, a distanza di circa 2 km dalle rive del mare, spazio occupato da colline e dalla foce del fiume Imera.[12] Le colline sono caratteristiche dell’ambiente della città di Imera, che ne è circondata, e si sviluppano su tutta l’estensione del sito rendendolo pieno di salite e discese che mai si presentano ripide.
Al momento della battaglia di Imera del 480 a.C. la città era sotto il controllo di Terone di Agrigento che aveva posto a presidio molti soldati. Questa mossa mostra che Terone probabilmente intuì in anticipo le intenzioni cartaginesi e, sfruttando la conformazione del territorio, posizionò nel migliore dei modi i suoi uomini a difesa della città.[1]
Svolgimento
Scrive Diodoro Siculo: “(Amilcare dopo lo sbarco a Palermo ) si spinse con l’esercito contro Himera e la flotta lo fiancheggiava navigando. Quando giunse nei pressi della città, che abbiamo prima citato, vi pose due accampamenti, uno per l’esercito di terra ed uno per la forza navale. Tirò a secco tutte le navi da guerra e le circondò con un profondo fossato e con una palizzata di legno, fortificò l’accampamento dell’esercito di terra che aveva sistemato proprio di fronte alla città, e aveva prolungato dalla trincea navale fino alle colline sovrastanti”.
Terone non riuscì a resistere, in principio; le sortite che effettuò furono tutte respinte con successo dagli uomini di Amilcare. Sùbito Gelone, accorso alla richiesta di rinforzi degli Imeresi, giunse a marce forzate presso la città e, fortificata con una nuova barricata e un nuovo presidio, si accampò all’esterno delle mura. Con un’incursione improvvisa i cavalieri del tiranno riuscirono a gettare nel caos i barbari che stavano saccheggiando le città vicine.[9]
Successivamente, i cavalieri portarono a Gelone un uomo da loro preso mentre tentava di entrare nel campo cartaginese. Era un messaggero dei Selinuntini che si erano alleati ad Amilcare, e le lettere che gli si trovarono indosso, contenevano l’annunzio, che da un giorno all’altro, stabilito dallo stesso Amilcare, un corpo di cavalleria Selinuntina sarebbe entrato nel campo cartaginese, come egli aveva comandato. Sùbito Gelone immaginò il suo piano: in quel giorno determinato, si presentò dinanzi alle porte del cantiere navale una divisione della sua cavalleria, facendosi credere quella di Selinunte tanto aspettata. Lasciata entrare, subitamente diede fuoco alle navi mentre i Cartaginesi erano intenti in grandi sacrifici.[9][13]
Spuntava il sole sull’orizzonte, quando improvvisamente l’esercito greco, che già si teneva pronto, avvisato da sentinelle di Gelone assalì l’altro campo dei nemici. I cartaginesi uscirono e combatterono valorosamente; ma quando videro le fiamme avvolgere tutto il campo dell’armata, cadde loro il coraggio. Amilcare, che si trovava presso il porto a sacrificare animali alle divinità, fu scovato dai cavalieri e ucciso.[9]
I Greci riportarono una grande vittoria: dato che le navi puniche erano state quasi interamente distrutte, nonostante l’ordine di uccisione di tutti i nemici da parte di Gelone, molti furono quelli che riuscirono a rifugiarsi in una località vicina.[13] I rimanenti soldati Cartaginesi rimasti sull’isola si ritirarono combattendo sopra il Monte S. Calogero dove per qualche tempo si difesero, ma dopo per mancanza d’acqua, furono costretti ad arrendersi. Solo pochi fortunati tornarono a Cartagine per riferire la sconfitta, il resto fu asservito al volere di Gelone e spedito in tutta la Sicilia.[14]
Sulle sorti di Amilcare le fonti non sono concordi. Stando a Erodoto, per tutto il giorno, mentre l’esercito combatteva, rimase a sacrificare; e quando vide che tutto era perduto, egli stesso «ultima e massima vittima» si gettò nelle fiamme e il suo corpo si ridusse in cenere.[15] Secondo Diodoro Siculo e Polieno, invece, Amilcare sarebbe stato catturato e ucciso dai cavalieri siracusani.[13][14]
Nuovi scavi…
Quanto è emerso dai nuovi scavi del 2007 /2008, dà certezza che, per forza di cose, la flotta cartaginese doveva occupare il territorio, lungo la costa, prossimo alla riva orientale del fiume Torto, visto che sul lato ovest, tra l’accampamento e la colonia, insiste la foce fluviale.
I due accampamenti dell’esercito punico erano contigui e arrivavano fino alle colline di fronte alle mura della città. Il campo cartaginese era perciò delimitato a nord dalla spiaggia, ad ovest dal fiume Torto, a Sud dai rilievi collinari, di conseguenza sul lato est il rapporto con le mura cittadine era diretto e Amilcare senza ostacoli poté marciare verso Himera, la battaglia finale avvenne presso la Piana di Buonfornello ad ovest delle mura.
Gli scavi archeologici presso il Sito dell’antica città e presso il luogo della Battaglia hanno portato alla luce resti straordinari. Addirittura un’area conteneva 9500 sepolture di imeresi che combatterono la Battaglia.
Al di là del sensazionale ritrovamento, un evento questo, che ha ridestato l’attenzione di ricercatori e scienziati di tutto il mondo, mi preme segnalare qui un originale studio condotto dal Dr. Aldo Ferruggia in merito allo scheletro del guerriero sicelioto morto nella battaglia del 480 a.C. e rinvenuto per l’appunto a Himera, durante gli scavi effettuati nel biennio 2008-2010, a settentrione della Piana di Buonfornello. Il medico Ferruggia, appassionato di storia antica e autore del libro “Le guerre senza nome” 2014 (Neos Edizioni), ha condotto attraverso le immagini fotografiche da lui raccolte, una succinta analisi medico-legale dello scheletro rivenuto nella tomba di Himera e denominata dagli archeologi, con la sigla W2219. In realtà, il soldato greco perì in una circostanza drammatica, poiché la freccia, scoccata dal suo avversario (guerriero punico, soldato della coalizione, o mercenario al soldo dei cartaginesi)? durante la fase della battaglia, lo colpì, e quasi certamente, non avendo avuto egli un’adeguata corazza di protezione, il dardo lanciatogli, gli attraversò le parti molli dell’addome andandosi a conficcare tra due vertebre.
Abbiamo rivolto al Dr. Ferruggia alcune domande sulle forze in campo durante la Prima Battaglia di Imera del 480 a.C. e in particolar modo di parlarci del suo singolare studio per così dire “balistico” dell’arma mortale che vide perire l’ignoto guerriero greco. Certamente attraverso quanto è stato detto il lettore potrà idealmente immaginare gli eventi letali che coinvolsero altri sconosciuti soldati di ambo le fazioni, deceduti in combattimento in circostanze analoghe, o mediante armi da taglio o fendenti che determinarono loro, lesioni, sia agli ossi cranici sia in varie parti del corpo.
Dottor Ferruggia, nel 2008 durante gli scavi archeologici effettuati nella necropoli occidentale di Himera, la Soprintendenza, ha rinvenuto in diverse fosse comuni resti scheletrici, probabilmente soldati greci, morti durante le fasi della battaglia di Himera del 480 a.C.
Secondo lei è ipotizzabile attraverso le analisi scientifiche dei corpi risalire ai reparti di appartenenza e la provenienza dei soldati?
I soldati sono tutti allineati in direzione est-ovest, con la testa al sorgere del sole, senza altri elementi che possano chiaramente definirne il reparto di appartenenza. Ma vi è un’eccezione: in alcune fosse, vicino ai cadaveri umani, sono stati ritrovati anche interi scheletri di cavalli. In questo caso, quindi, è lecito immaginare che i soldati vicini fossero cavalieri. Questo inoltre confermerebbe l’importanza che ebbe la cavalleria greca nel vincere la battaglia e nell’uccidere il generale cartaginese.
I soldati sepolti nelle fosse comuni presentano segni particolari per i quali si possa accertarne le eventuali cause di morte?
In alcuni casi è possibile: alcuni presentano ancora oggi i segni ossei di armi da taglio, altri avevano ancora al momento dell’inumazione all’interno del corpo le punte di freccia o di lancia che li avevano colpiti: queste armi furono ritrovate tra le ossa al momento della scoperta, dopo 2500 anni.
Tra gli scheletri dei guerrieri rinvenuti nella tomba W2219 perché lei ha scelto di occuparsi proprio dei resti del corpo del soldato che contiene la punta di freccia tra due vertebre?
Perché l’angolo di entrata è particolare e, essendo io medico, ho tentato una succinta analisi medico-legale. Sebbene io non abbia potuto analizzare direttamente il reperto, dalle fotografie si evince che la freccia si sia incuneata tra due vertebre finali della colonna toracica o tra le prime di quella lombare. L’arciere che scagliò la freccia non si trovava davanti al soldato, ma di lato, alla sua destra. Infine, cosa intrigante, la freccia appare essere entrata seguendo una traiettoria quasi perpendicolare alla colonna. Questo, tenendo in conto le normali traiettorie delle frecce, significa che:
a) o l’arciere si trovava più un basso rispetto al soldato colpito (a cavallo o sopra una muraglia);
b) oppure che il corpo del soldato mostrava il fianco da terra ad una freccia vagante, che cadeva quasi dallo zenit. In questo caso era già stato colpito e forse era già morto quando la freccia lo raggiunse.
Secondo la sua opinione, il soldato della tomba W2219 era un componente della falange oplitica o apparteneva all’arma di cavalleria?
Il soldato è stato sepolto da solo, non in una fossa comune e questo più facilmente lo fa annoverare tra i caduti originari della stessa Himera: difficilmente, infatti i suoi parenti, presenti alla inumazione, avrebbero permesso di collocarlo in mezzo a sconosciuti, come invece deve essere successo per la quasi totalità degli Agrigentini e Siracusani. Altro non si può dire.
Dottor Ferruggia, un’ultima domanda, durante la battaglia di Imera quali erano le forze in campo della coalizione greca?
Parlare di “coalizione greca” può essere fuorviante: nel mio libro utilizzo un intero paragrafo per spiegare quale fosse il complicato scenario di alleanze che fece da preludio alla battaglia: da una parte vi era una coalizione completamente greca, capeggiata dai Siracusani e dagli Agrigentini, coalizione a cui avevano aderito gran parte degli Imeresi. A questi si opponeva una coalizione capeggiata da Cartagine, città elima come Segesta, e fenicia come Palermo, ma anche città greche come Messina, Reggio e, soprattutto, Selinunte. Non quindi un ”Greco contro tutti” ma anche una lotta fratricida all’interno dello stesso mondo greco d’Occidente. Circa lo schieramento esclusivamente greco possiamo dire che ad Himera, in quella mattina del 480 a.C. ci fossero non meno di ventimila Siracusani, diecimila Agrigentini e circa cinquemila Imeresi. Un esercito enorme per l’epoca storica, ma ancora più grosso doveva essere l’esercito capeggiato da Cartagine!
Conseguenze della battaglia
I Cartaginesi inviarono i loro migliori oratori alla corte di Gelone per implorargli di cessare le ostilità e, quindi, di non minacciare ulteriormente Cartagine e il suo impero.[16] Per oltre settant’anni non ci furono più scontri in Sicilia. Dopo quella battaglia Cartaginesi e Punici avrebbero offerto sacrifici ed eretto splendidi monumenti in memoria di Amilcare sia nelle colonie sia a Cartagine.[15] Essendo talmente contenti del patto di pace così moderato concesso loro da Gelone, che prevedeva solo il pagamento di duemila talenti d’argento come risarcimento, i Cartaginesi donarono alla moglie di Gelone, Damarete, una corona d’oro del valore di cento talenti, perché ella, da loro pregata, aveva perorato in favore della pace. Con quest’oro lei, o Gelone, comperò dell’argento per coniare una nuova moneta: il Demareteion.[17] La stessa notizia non è in Giulio Polluce[18] né in Esichio[19] secondo i quali la moneta sarebbe stata coniata ancora prima dell’inizio della spedizione.
Monumenti ed edifici in onore alla vittoria
Ad Akragas, per mezzo della miriade di prigionieri dell’esercito cartaginese, furono realizzate magnifiche opere idriche come: le condutture “feacie” (progettate dall’architetto Feace) e una grandissima piscina di venti stadi di circonferenza (= 1800 m) e venti cubiti di profondità (= 10 m); essa fu poi trasformata in vivaio (la cosiddetta kolýmbethra) ma restò sempre simbolo della ricchezza raggiunta in questo periodo da tutti i Sicelioti: Agrigentini e Siracusani in particolare.[20] Ad Akragas si eressero i templi di: Hera Lacinia, Demetra, Zeus Olimpio; mentre a Imera il tempio della Vittoria.
A Siracusa, presso l’isola di Ortigia…
fu costruito un tempio in onore di Atena, ritenuto ancora al tempo di Cicerone uno tra i più belli.[21]
Pindaro
A Therone, Tiranno di Agrigento vincitore nella corsa col carro
“… Agrigento
è la meta, e diremo alte
con cuore sincero parole giurate:
non partorì in un secolo questa città
uomo di pensieri premurosi,
di mano munifica verso gli amici
più di Théron. Ma alla lode s’attacca un fastidio
compagno non di giustizia ma frutto d’uomini vili
e bramoso che il molto parlare
avvolga di tenebra le opere belle
dei grandi. Perché – la sabbia sfugge al numero:
e lui, quante gioie donò ad altri
chi potrà mai dire?”
Note
- a b c Freeman, v. II, p. 185.
- Erodoto, VII, 166.
- a b Aristotele, Poetica 1459a, 25.
- Diodoro Siculo, XI, 24, 1.
- a b Diodoro Siculo, XI, 20.
- Erodoto, VII, 153 ss.
- Diodoro Siculo, XI 20,2. Diodoro afferma che 300.000 erano i soldati che componevano l’esercito. Molti studiosi ricorrono all’eliminazione della parola cento (nel numero di 300.000), lasciando in questo modo 30.000. S. v. Freeman, v. II, p. 185.
- a b Erodoto, VII, 165.
- a b c d Diodoro Siculo, XI, 21.
- Plutarco, Vite parallele: Dione, 4.
- Erodoto, VII, 157-158.
- Freeman, v. I, p. 414-415.
- a b c Polieno, I, 27.
- a b Diodoro Siculo, XI, 22.
- a b Erodoto, VII, 167.
- Diodoro Siculo, XI, 24.
- Diodoro Siculo, XI 26
- Onomastikòn XI, 86.
- Glossario s.v. Demarateion
- Diodoro Siculo, XI, 25.
- Cicerone, Seconda orazione contro Verre, IV, 53, 55.
Bibliografia
- Diodoro Siculo, Bibliotheca historica.
- Erodoto, Storie.
- Polieno (retore), Stratagemmi.
- Brian H. Warmington, Storia di Cartagine, Einaudi, 1968.
- Andrea Frediani, Le grandi battaglie dell’antica Grecia, Newton & Compton, 2005.
- A. Freeman, History of ancient Sicily, 1898.
- Domenico Musti, “Storia greca”, Laterza, ed.
- Pais, “Storia della Sicilia e della Magna Grecia”, Milano-Roma, 1935
- Pareti, “Studi siciliani ed italioti”, Firenze, 1914
- Vassallo, “Indagini in un quartiere della città bassa di Himera”, AAVV Zurigo 2
- Vassallo, “La battaglia di Himera alla luce degli scavi nella necropoli occidentale e alle fortificazioni, in Sicilia Antiqua”, VII 2011
Bellissimo il racconto storico. Succinto ma completo !
Grazie per il complimento. La Sicilia non smette mai di stupirci!