The Times: Shakespeare non era affatto inglese, ma siciliano!

Mistero, indizi, strane coincidenze… Gli ingredienti per un grosso colpo di scena ci sono tutti… degni della più celebre figura di investigatore che la storia del giallo abbia mai conosciuto, Sherlock Holmes.

William Shakespeare era in realtà il siciliano Michelangelo Florio?

Come faceva il figlio di un guantaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra nelle sue opere? Come poteva descrivere così fedelmente i luoghi e le usanze delle città italiane in cui sono ambientate molte opere teatrali? Più di un terzo (15) dei 37 drammi shakespeariani sono infatti ambientati in Italia. In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano compagni di studi di Florio all’università di Padova. Sempre in Amleto si trovano numerosi proverbi pubblicati da Florio nel precedente libro italiano “I secondi frutti”. Nel Mercante di Venezia, il Bardo rivela una conoscenza della legislazione veneziana del tempo, del tutto sconosciuta a Londra. Molto rumore per nulla è la traduzione inglese di una commedia giovanile del Florio (Tantu traficu ppi nenti). Nella stessa commedia un protagonista se ne esce con una battuta («Mizzeca, eccellenza!»), che soltanto un siciliano poteva conoscere. E, guarda caso, Antonio e Cleopatra è ambientato a Messina, città d’origine di Florio.

Messina (Sicily)

Sono solo alcuni dei numerosi dettagli che hanno spinto il quotidiano The Times a commentare così la tesi del professor Iuvara: «Il mistero di come e perché Shakespeare sapeva così tanto dell’Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma siciliano». Chapeau!


UN MISTERO SICULO-INGLESE

Questo racconto parte da un nome,”Michel Agnolo Florio“. Ma chi era costui? E’ presto svelato. Nel 1927, un giornalista romano, Santi Paladino, trovò nella biblioteca paterna un antico libro, intitolato “I secondi frutti“, firmato da un certo Michel Agnolo Florio. Leggendolo, sempre più esterrefatto, scoprì che molte frasi in esso contenute erano identiche a quelle delle opere, tenetevi forte, di William Shakespeare, il grandissimo drammaturgo inglese.

La domanda che sorse spontanea fu se fosse un caso di plagio, ma la riposta, altrettanto chiara, annullò questo pensiero perché il libro in questione era stato stampato nel 1549, prima ancora della nascita del poeta inglese, avvenuta il 23 aprile 1564. Da qui nacque la tesi che William, anzi Michel Agnolo, fosse di Messina. Lasciatevi trasportare da questa trama che potrebbe essere fantasiosa oppure contemplare una base di verità.

Santi Paladino, indagando su Michelangelo, scoprì che, nato a Messina dal medico Giovanni Florio e dalla nobildonna Guglielma Crollalanza, fuggì a Treviso con la famiglia perché calvinista, studiò a Venezia, Padova, Mantova, viaggiando molto e visitando Danimarca, Grecia, Spagna e Austria. Diventò un umanista di grande cultura, ricercato come precettore dalle famiglie più ricche d’Europa e, grazie all’amicizia con Giordano Bruno che aveva buoni rapporti con i conti di Pembroke e Southampton, nel 1588 raggiunse Londra dove fu assunto come precettore di lingua italiana e latina della futura regina Elisabetta I, il cui lungo regno è ricordato come «età dell’oro».

Il giornalista, il 4 febbraio 1927, sulla rivista L’Impero, pubblicò l’articolo: «Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano», rivelando che Florio, per cancellare il proprio cognome da calvinista fuggiasco, aveva deciso di farsi chiamare William, che era il nome di un cugino residente proprio a Stratford morto prematuramente, traducendo in inglese il cognome materno Crollalanza con “Shake“, che vuol dire agita, scrolla e “Spear“, il cui significato è, invece, lancia. Paladino pubblicò anche due libri, nel 1929 e nel 1955, “Un italiano autore delle opere shakespeariane”.

Agli anglosassoni, ovviamente, questa tesi risultò indigesta e corsero immediatamente ai ripari. Dopo una visita a Roma di Winston Churchill, Benito Mussolini ordinò l’immediata chiusura dell’Accademia nazionale shakespeariana, nata a Reggio Calabria per iniziativa dei cultori del Paladino e sull’origine italica di Shakespeare calò il silenzio.

Messina (Sicily)

La teoria dell’origine messinese fu, però, nuovamente avanzata nel 1950 dalla cattedra di Storia del diritto italiano dell’Università di Palermo e, precisamente, dal professor Enrico Besta. Nel 2002, un docente di letteratura in pensione, Martino Iuvara, approfondì ulteriormente le ricerche su Florio, alias Shakespeare, mettendo in risalto alcuni dati incontrovertibili.

Tesi del professore Martino Iuvara

Infine Martino Juvara da Ispica (Ragusa). Iuvara, nel 2002, pubblicò un volume intitolato Shakespeare era italiano in cui riprese le varie tesi esposte nel tempo, arricchendole con alcuni particolari inediti frutto di sue ricerche. In particolare avrebbe chiarito il mistero del nome italiano del Bardo che, secondo lo studioso ispicese, era Michelangelo Florio, figlio di un medico e di una nobile siciliana, Guglielma Crollalanza, da cui la traduzione inglese di William Shakespeare.

La notizia fu una ghiottoneria per tutti gli organi di stampa non solo italiani. Lo stesso Times (8 aprile 2000, articolo di Richard Owen) uscì sulla vicenda con toni sorprendentemente accondiscendenti verso la tesi di Iuvara.

Ecco ciò che sostiene il professore ispicese. Michelangelo Florio, questo il presunto nome del grande drammaturgo, nacque a Messina il 23 aprile 1564 da Giovanni Florio (medico e pastore calvinista di origine palermitana) e dalla nobile Guglielma Crollalanza. Subito si rivelò un bambino prodigio, dotato di grande genialità e appassionato della lettura. A 16 anni conseguì il Diploma del Gimnasium in latino, greco e storia. Giovanissimo, a conferma delle sue doti, scrisse una commedia in dialetto dal titolo “Tantu trafficu ppi nenti”. A causa delle credenze religiose del padre, Michelangelo (o Shakespeare, se preferite), non più al sicuro a causa dell’inquisizione, venne prima mandato in Valtellina e poi a Milano, Padova, Verona, Faenza e Venezia. Ebbe anche il tempo di tornare a Messina ma la sua permanenza nella città dello stretto durò poco.

Lo storico porto di Messina (Sicily)

A 21 anni Michelangelo iniziò il suo personale “giro del mondo”: soggiornò prima ad Atene, dove fu insegnante, poi in Danimarca, Austria, Francia e Spagna. Tornato ancora una volta in Italia, precisamente a Tresivio, s’innamorò di Giulietta ma la storia tra i due finì in tragedia con il rapimento, per cause religiose, e la successiva morte di quest’ultima. Sconvolto per la morte dell’amata, Michelangelo si trasferì a Venezia ma, dopo che anche il padre per le stesse ragioni fu trucidato, decise di mettersi in salvo trasferendosi a Londra. È qui che Michelangelo Florio cambia identità e diventa il famoso William Shakespeare.

Lasciatosi alle spalle tutte le paure e i dolori precedenti, Shakespeare ebbe finalmente modo di dedicarsi a scrivere per il teatro. Le rappresentazioni dei suoi testi ebbero grande consenso tra il pubblico. Ma grande merito del successo andava al dotto e letterato cugino che lo aiutò nelle traduzioni dall’italiano all’inglese e alla moglie, sposata quando il drammaturgo aveva 28 anni, e di 8 anni più grande di lui. Superate le iniziali difficoltà legate al problema della lingua, Shakespeare si impadronì perfettamente dell’inglese, coniando addirittura migliaia di nuovi vocaboli e arricchendo in maniera straordinaria la propria produzione letteraria. Divenne ricco, famoso e le sue opere molto apprezzate.

Shakespeare morì a Londra il 23 aprile 1616.

Per gli inglesi

Per gli inglesi, invece, William Shakespeare, il terzo di otto figli di un guantaio-macellaio analfabeta, nato il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon, località a 40 chilometri da Londra, dove morì il 23 aprile 1616, a causa delle ristrettezze economiche familiari, non ebbe modo di fare grandi studi. Tuttavia dopo i 25 anni, come per magia, (humour inglese, no, ironia trinacriese) iniziò a scrivere poesie, poemi, decine di opere teatrali, diventando un gigante della letteratura mondiale, tanto che il critico letterario statunitense Harold Bloom scrisse: «Dopo Gesù e Amleto, è la figura più citata nella coscienza occidentale». Ma come faceva il figlio di un guantaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra nelle sue opere? Come poteva descrivere così fedelmente i luoghi e le usanze delle città italiane in cui sono ambientate molte delle sue opere teatrali?

Opere e italianità di Shakespeare

In Amleto, ad esempio, compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano stati compagni di studi proprio di Michelangelo Florio all’università di Padova e, sempre in Amleto, si trovano numerosi proverbi pubblicati dal giovane messinese nel libro “I secondi frutti”; nel Mercante di Venezia, il Bardo rivela una conoscenza della legislazione veneziana del tempo del tutto sconosciuta a Londra; Molto rumore per nulla è la traduzione inglese di una commedia giovanile del Florio, già citata, ma repetita iuvant alla nostra causa, “Tantu trafficu ppi nenti” e nella stessa commedia un protagonista se ne esce con una battuta che soltanto un siciliano poteva conoscere: “Mizzeca, eccellenza!”. Come dimenticare, infine, Antonio e Cleopatra, ambientato proprio a Messina, città d’origine di Florio?

The Times

Lo stesso quotidiano The Times, con un articolo di Richard Owen, uscì sulla vicenda con toni sorprendentemente accondiscendenti verso la tesi di Iuvara, commentando: «Il mistero di come e perché Shakespeare sapeva così tanto dell’Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma italiano».

Riepilogando:

  1. In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guildenstern, che frequentarono l’università di Padova e che Michelangelo Florio conosceva;
  2. In Amleto si trovano molti proverbi pubblicati dal calvinista Michelangelo Florio nel volumetto intitolato “I secondi frutti”;
  3. L’origine italiana di Shakespeare forse può spiegare i molti luoghi, presenti nelle sue opere, che caratterizzano l’Italia e i nomi italiani, come: Romeo e Giulietta – Otello – Due signori di Verona- Sogno Di una  Notte Di Mezza  Estate – Il mercante di Venezia  – Molto rumore per nulla – La Bisbetica Domata (che è di Padova) –  Misura per  misura – Giulio Cesare – Il Racconto Dell’Inverno – La Tempesta (che inizia a Milano);
  4. Più di un terzo (ben 15) dei suoi 37 drammi sono ambientati in Italia;
  5. Ne Il Mercante di Venezia il colore locale è stupefacente: esatte espressioni marinaresche sono poste in bocca a Salanio e Salerio, si parla del traghetto che unisce Venezia alla terraferma e si dà l’esatta Belmont (cioè Montebello, un sobborgo di Venezia) e Padova, che deve essere percorsa da Porzia e Nerissa;
  6. Proprio nel Mercante di Venezia il Bardo rivela una approfondita conoscenza della legislazione veneziana del tempo, completamente diversa da quella vigente in Inghilterra e che nessun inglese del tempo conosce così bene. C’è di più: il maestro Bellario, citato nel testo, adombra un personaggio realmente esistito e molto famoso nell’ambiente giuridico padovano, il prof. Ottonello Discalzio.
  7. La gran parte delle sue opere rivela una conoscenza diretta dei luoghi che ha visitato durante la sua giovinezza girovaga;
  8. “Giulietta e Romeo” appare chiaramente come una trasfigurazione artistica della storia d’amore vissuta durante la giovinezza;
  9. Nei registri della scuola secondaria di Stratford, la “Grammar School”, non compare il nome di nessun William Shakespeare;
  10. Si sa che William Shakespeare frequentasse a Londra un Club In. In quel Club, però, non risulta registrato fra i soci, mentre, invece, vi risulta registrato Michelangelo Florio;
  11. E’ noto che la sciattezza della biografia di Shakespeare, raffrontata alla grande mole della sua opera teatrale, ha fatto negare a molti studiosi l’autenticità della sua esistenza, e ritenere essere egli il prestanome di personaggi più famosi;
  12. I drammi di Shakespeare rivelano una straordinaria esperienza secolare. Aveva ad esempio una buona conoscenza della legge, e fece largo uso di termini e precedenti legali. Nel 1860 John Bucknill scriveva di lui dicendo che conosceva a fondo la medicina (Medical Knowledge of Shakespeare). Lo stesso si può dire delle sue nozioni di caccia, falconeria e altri sport, come pure dell’etichetta di corte. Lo storico John Mitchell dice che era “lo scrittore che sapeva tutto”.
  13. Uomo di lettere? Il padre di William, John, (quello inglese) era un guantaio, commerciava in lana e forse faceva il macellaio. Era proveniente da una famiglia di contadini e piccoli proprietari terrieri (yeomen) del Warwickshire, un cittadino rispettato, anche se illetterato;
  14. Shakespeare conosceva bene anche la storia romana e sapeva che Pompeo aveva soggiornato a Messina (36 a.C.). Nella Commedia “Antonio e Cleopatra”, infatti, conoscendo questi fatti storici, parla della casa di Pompeo che è a Messina e proprio lì ambienta l’atto II scena I: “Messina. In casa di Pompeo. Entrano POMPEO, MENECRATE e MENAS, in assetto di guerra”;
  15. In “Molto rumore per nulla”, commedia degli equivoci, sono riscontrabili modi di dire e doppi sensi propri della parlata messinese; inoltre emerge quel particolarissimo carattere del messinese che ama complicarsi l’esistenza proprio con gli equivoci; di guanti;
  16. “Crollare”, in italiano antico, significava “scrollare”, dimenare qua e là; quindi “crollalanza” è traducente perfetto di “shakespeare”. L’atto da cui deriva il cognome risale alla “Germania” di Tacito: “Si displicuit sententia, fremitu aspernantur; sin placuit, frameas concutiunt. Honoratissimum adsensus genus est armis laudare (cap. 11)” ( “Se il parere non è piaciuto, [I germanici in assemblea] lo respingono mormorando; se invece è piaciuto [s]crollano le lance. È il modo più onorevole d’approvazione, lodare con le armi.”;
  17. La voce “crollare” nell’autorevolissimo Tommaseo-Bellini dimostra indubitabilmente l’accezione antica di “crollare” che equivale al “concutio” tacitiano e allo “shake” scespiriano;
  18. A proposito della sua morte Richard Davies (1700) scrisse: “He died a papist” (morì da cattolico), frase che forse potrebbe confermare la circostanza che egli fosse in precedenza calvinista, come Michelangelo Florio, per poi convertirsi al cattolicesimo;
  19. Quando muore, il 23 aprile 1616, nessuna commozione né lutto nazionale si registra in Inghilterra, quasi fosse uno straniero;
  20. In “Molto rumore per nulla” il comandante delle guardie Carruba, rivolto a Don Pedro principe d’Aragona, ad una sua domanda risponde con una sicilianissima espressione, presente solo nella parlata dei siciliani e che soltanto un siciliano poteva conoscere allora, soltanto oggi entrata nel linguaggio comune italiano: “Mìzzeca, eccellenza!” (Atto V scena I);
  21. I biografi ipotizzano che Shakespeare abbia maturato la sua vasta conoscenza della legge e la sua accurata familiarità con i modi, il gergo e i costumi degli avvocati dopo essere stato lui stesso per poco tempo il cancelliere del tribunale di Stratford; proprio come se un giovanotto sveglio come me, cresciuto in un paesino sulle rive del Mississippi, potesse sviluppare una conoscenza perfetta della caccia alla balena nello stretto di Behring e del gergo dei veterani passando qualche domenica a pescare pesce gatti […] Gli elementi conosciuti sulla vita di Shakespeare si possono scrivere su di un lato di un foglietto per gli appunti » (Mark Twain in “Is Shakespeare really dead?”, 1909);
  22. Chi conservò i manoscritti di Shakespeare? Un religioso del XVIII secolo controllo’ tutte le biblioteche private nel raggio di 80 chilometri da Stratford-on-Avon senza trovare un solo volume che fosse appartenuto a Shakespeare. I manoscritti dei drammi costituiscono un problema ancora maggiore: non risulta che sia stato preservato nessuno degli originali. Trentasei drammi furono pubblicati nel primo in-folio del 1623, sette anni dopo la morte di Shakespeare. E’ da ritenere che tutte le opere fossero in mano ai Florio, che non potevano ufficialmente giustificarne la provenienza;
  23. L’opinione maggioritaria tra gli studiosi identifica il drammaturgo con il William Shakespeare nato a Stratford-on-Avon nel 1564, trasferitosi a Londra e diventato attore e contitolare della compagnia teatrale chiamata Lord Chamberlain’s Men (proprietaria del Globe Theatre a Londra). Quest’uomo divise la propria vita tra Londra e Stratford, dove si ritirò nel 1613 e dove sarebbe poi morto nel 1616. Di lui possediamo la data di battesimo, il 26 aprile 1564. Oltre ad alcuni particolari sui genitori di Shakespeare, gli storici sono inoltre in possesso del certificato di matrimonio di William – datato 27 novembre 1582 – e dei certificati di battesimo dei suoi tre figli.

La visione scettica afferma invece che lo Shakespeare di Stratford fu semplicemente il prestanome di un altro drammaturgo non rivelatosi; i suoi sostenitori portano a sostegno dell’ipotesi diversi argomenti: le ambiguità e le informazioni mancanti nella visione tradizionale; l’affermazione che le opere teatrali di Shakespeare richiedevano un livello culturale (compresa la conoscenza per le lingue straniere) maggiore di quello che si suppone Shakespeare avesse; indizi che suggeriscono che l’autore sia deceduto mentre lo Shakespeare di Stratford era ancora in vita; i dubbi sulla sua paternità espressi da suoi contemporanei. Gli Stratfordiani sostengono che Shakespeare avrebbe potuto frequentare la The King’s School di Stratford fino all’età di quattordici anni, dove avrebbe studiato i poeti latini e le opere teatrali di autori come Plauto e Ovidio. La scuola (o le scuole) che Shakespeare potrebbe aver frequentato è argomento di varie congetture, poiché non esistono registri di ammissione o di frequenza che parlino di lui in alcuna scuola secondaria, college o università;

  1. Molti anti-Stratfordiani si interrogano sul trattino che spesso appare nel nome “Shake-speare”, che secondo loro indica che si tratti di uno pseudonimo. Tale trattino, ad esempio, appare sul frontespizio dei “Sonetti” del 1609.

Lo studioso di Oxford Charlton Ogburn ha fatto altresì osservare che:

Tra le 32 edizioni delle opere di Shakespeare pubblicate prima del First Folio del 1623 in cui l’autore veniva menzionato, il nome conteneva il trattino in quindici casi, quasi la metà. Ciò è molto significativo poiché rafforza la tesi del cognome composto (scrolla = shake, lanza/lancia=speare).

Link di interesse sull’argomento:

Domenico Seminerio e le leggendarie origini siciliane di William Shakespeare

Lo scrittore calatino Domenico Seminerio ci rivela le sue ipotesi circa le origini siciliane di William Shakespeare.
Seminerio illustra le sue ricerche bibliografiche e prosegue segnalando alcune vive testimonianze a dimostrazione della sua teoria, quali il dipinto “Il Marinaio” di Antonello da Messina, ospitato presso il ” Museo della Mandralisca” che sembrerebbe essere il ritratto del giovane scrittore inglese.
L’autore riflette anche sull’immagine dei siciliani oggi veicolata dai media, il tutto sullo sfondo di una splendida Caltagirone.

https://en.wikipedia.org/wiki/Crollalanza_theory_of_Shakespeare_authorship

http://www.granmirci.it/shakespeare.htm

https://www.agorametropolitana.it/was-shakespeare-english-unaffascinante-ipotesi-nel-docufilm-della-regista-russa-alicia-maksimova/