“U’ MACCU”

 

“U MACCU” – Piatto unico siciliano

di Francesca La Grutta

Nel Vocabolario Siciliano-Italiano di Antonino Traina del 1868, il termine “maccu” indica una “vivanda grossa di fave sgusciate, cotte in acqua e ridotte come in pasta”. Significato analogo all’italiano macco, successivamente e genericamente esteso a “minestra stracotta” e “poltiglia”. La zuppa o polenta di fave bollite è un cibo antico. L’etnologo Antonino Uccello nel prezioso volume “Pani e dolci di Sicilia” edito da Sellerio, lo collega alla “plus fabata” ricordata da Plinio come “pietanza sacra di arcaica religione. “I significati attribuiti alla fava – scrive Uccello col supporto di vari esempi – oscillano in una serie di valenze positive e negative sia nel mito che nel culto del mondo romano e di quello greco”. In Sicilia la coltivazione della fava (vicia faba) è di antichissima tradizione. Al contrario dei Romani che consumavano le fave soltanto in occasione di riti funebri, i Siciliani hanno da sempre fatto largo uso di fave nella loro dieta, sia secche sia allo stato verde. I Romani ne facevano grande uso (anche crude con l’intero baccello, quando erano molto tenere), tanto è vero che una delle gentes “famiglie” più importanti nella storia di Roma, i Fabi, prendevano nome dalla fava (faba); come, del resto, da altri legumi (piselli, lenticchie, ceci) prendevano nome altre famiglie di ottimati (i potenti): rispettivamente i Pisoni, i Lentuli e, più tardi, i Ciceroni. Per Pitagora le fave erano: “cibo dei morti”, mezzo per contattare l’aldilà. Il favismo è una grave anemia emolitica ereditaria ancora oggi diffusa fra gli abitanti dei territori dell’antica Magna Grecia.Ma al di là delle implicazioni mitico-rituali, il macco è stato tradizionalmente un cibo di poveri: fave secche lasciate per una notte intera dentro una pentola in acqua poco salata e, dopo averle fatte cuocere, ammaccate con una forchetta in modo da ridurle a purea. Si aggiungeva appena un filo d’olio e si mangiava.

Nelle frequenti condizioni di miseria cui erano sottoposte le classi popolari, il macco costituiva a volte il piatto unico di tante famiglie per mattina e sera. Fino ad alcuni decenni addietro ai braccianti agricoli i padroni ne davano una scodella come pasto principale della giornata e solo eccezionalmente, ad esempio durante la trebbiatura, si dava da mangiare la pasta. “U maccu” (il macco), un profumato e delicato velouté di fave cotte in umido, molto diffuso tra gli isolani si è tramandato fino ai giorni nostri.

La purea che ne deriva viene aromatizzata con semi di finocchietto selvatico ed insaporita con olio extravergine d’oliva. Il maccu è un piatto ritenuto adatto alla gente forte. Sull’argomento Aristofane, nella spassosa commedia “Le rane”, sosteneva che Ercole fu allevato col macco di fave. Fra i vari maccu preparati in Sicilia caratteristico è quello di Raffadali, non a caso questa cittadina è anche chiamata “u paisi du maccu” (il paese del macco), dove si è conservato come alimento tradizionale e dove ancora oggi se ne fa largo uso. Con il tempo il maccu ha perso le caratteristiche di pietanza legata a momenti particolari ed è divenuto, assieme ad altri tipi di minestre, un ottimo “piatto unico” per le classi più povere e uno stuzzicante primo per quelle più abbienti. Nel sec. XV esisteva per la sua preparazione uno speciale recipiente “ad opus mirandi maccum” (per la curiosità di ammirare la preparazione del macco). Una caratteristica peculiare del maccu è dovuta al fatto che, una volta raffreddato, si può conservare ricoperto con un velo d’olio per essere consumato in un secondo tempo tagliato a fette. La purea raffreddata può anche essere consumata fritta in olio extravergine di oliva. A proposito della conservazione del macco in olio è ancora in uso il detto “livari l’ogliu du maccu” (togliere l’olio dal macco), azione che sta ad indicare una particolare abilità nelle attività manuali. L’uso di pietanze a base di fave trova giustificazione nell’alto valore nutritivo e nelle particolari caratteristiche nutrizionali. Il Pitrè ci informa che tale minestra viene preparata a Siracusa non con le fave secche ma con quelle verdi, fresche, in occasione della festa di San Giuseppe e perciò ivi è detta minestra di San Giuseppe. Ogni paese siciliano inneggia al suo maccu ed ha un suo maccu.

Infatti in Sicilia il maccu di fave può essere arricchito oltre che con” u finuccheddu sarvaggiu”, anche o con “a cocuzza baffa”, ”i giriteddi servaggi” e qualche volta anche con gli spinaci . Si possono aggiungere anche pezzeti di pomodoro salato e pepe .

Perché “ u maccu” sia un piatto completo bisogna aggiungere la pasta che può, essere “ spaettu tagghiatu” , “pasta maritata”, “tagghiateddru” o meglio ancora “ tagghiarini di pasta frisca “ .

Per fine anno , se volete servire un primo piatto tradizionale , preparate il sicilianissimo maccu, ma pensateci in tempo perché le fave secche e decorticate bisogna che stiano a bagno nell’acqua prima di essere cotte, almeno dodici ore . Ricordatevi che la cottura in pentola di coccio risulta la migliore perché le fave devono cuocere a fuoco lento per almeno tre- quattro ore.

Le ricette…

Il macco fatto con fave secche

INGRADIENTI

  • 400 grammi di fave secche senza la buccia
  • Un mazzetto di finocchietto selvatico
  • 300 grammi di tagliatelline (ancora meglio quelle fatte in casa)
  • Qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva siciliano
  • Pepe macinato al momento

PROCEDIMENTO

Pulire bene il finocchietto, tagliarlo a pezzi e metterlo da parte. Mettere le fave sgusciate in acqua fredda per una notte (noi abbiamo usato la pentola a pressione che, oltre a ridurre notevolmente i tempi di cottura, evita questa fase). Mettere le fave a bollire in abbondante acqua, aggiungere i finocchietti tagliati (conservarne qualche rametto) e far cuocere, a fiamma dolce, per un paio d’ore (con la pentola a pressione circa mezz’ora), schiacciando le fave saltuariamente con un cucchiaio di legno.

Quasi a fine cottura aggiustare di sale e quando la purea sarà pronta aggiungere la pasta e completare la cottura.

Servire spolverando con il pepe, condire con l’olio e completare depositando sulla minestra qualche rametto di finocchietto messo da parte in precedenza.

Il macco fatto con fave fresche

Ingredienti per 4-6 persone

  • 1 kg di fave fresche tolte dal baccello;
  • 1 cipolla;
  • 2 cucchiai di olio extra vergine d’oliva siciliano;
  • sale;
  • peperoncino;
  • finocchietto selvatico;
  • acqua calda;

Servirà ben più di un chilogrammo di fave. La buccia ha un suo peso.

Quel che rimane è circa la metà, se non un terzo, del peso delle fave che si comprano al mercato. Per il piatto, come quello che vedi in fotografia, ci vogliono circa 200 grammi di fave sgusciate.

PROCEDIMENTO

Cominciare togliendo le fave dal baccello.

Poi, lasciarle in acqua bollente per 2 minuti circa.

Scolarle e farle raffreddare un attimo. Un trucco è lasciarle, una volta scolate, in acqua con ghiaccio.

 

Togliere la pellicina alle fave. Una volta sbollentate è cosa certosina, seppur facile.

Completata la preparazione delle fave, tagliare a fettine sottili la cipolla (che secondo i calabri dovrebbe essere di Tropea).

In una casseruola, versare l’olio extra vergine d’oliva siciliano

Far imbiondire la cipolla a fiamma media.

Unire le fave e mescolare.

Coprire a filo le fave con dell’acqua calda.

Cuocerle a fiamma media per 10-15 minuti circa.

Ottenere una purea (grossolana o no, a te la scelta). Serve un mixer ad immersione o un frullatore.

Salare, pepare o aggiungere il peperoncino e servire con qualche foglia di finocchietto selvatico.

Non resta che assaporare questo semplice piatto aromatico.